Il fotovoltaico è una delle soluzioni più diffuse per ottenere energia pulita utile a svolgere le azioni che compongono le nostre giornate.
Tra tutte le fonti di energia rinnovabile, il sole possiede una grande potenza che, se sfruttata correttamente, potrebbe essere la giusta risposta alla grande richiesta di energia elettrica che caratterizza i tempi moderni, soprattutto in Italia, uno dei Paesi con la più alta esposizione solare al mondo.
Ultimamente gli studi sul fotovoltaico hanno condotto a una soluzione ancora più green: il biofotovoltaico.
Si è infatti scoperto che è possibile sfruttare la fotosintesi clorofilliana operata dalle piante per convertire la luce del sole in energia elettrica.
Quello che avviene quindi non è più la trasformazione in energia elettrica tramite un materiale semiconduttore inorganico come il silicio; alcuni scienziati dell’Istituto di microbiologia dell’Accademia cinese delle scienze hanno scoperto che è possibile affidare questo compito a specifici batteri e funghi.
Non c’è dubbio sul fatto che questo nuovo tipo di tecnologia che sfrutta organismi viventi sia più economico ed ecosostenibile, ma sarà comunque efficiente? Per poter rispondere è utile capire in maniera più approfondita come funzionano i pannelli solari biofotovoltaici e se è possibile utilizzarli nella vita di tutti i giorni.
I pannelli biofotovoltaici
Il cuore di un impianto solare è il pannello fotovoltaico: infatti, proprio qui i fotoni di cui si compongono i raggi del sole vengono trasformati in corrente grazie all’impiego di materiali semiconduttori, tra cui in particolare il silicio.
Nel pannello biofotovoltaico invece questa funzione viene svolta da sostanze fotosintetiche organiche come cianobatteri e microalghe eucariote.
Durante gli esperimenti però ci si è resi conto del fatto che le alghe nei pannelli solari presentano un difetto: hanno una scarsa capacità di trasferire elettroni al di fuori delle cellule.
Per risolvere il problema di questa bassa densità di potenza, i ricercatori hanno ideato un sistema basato sull’integrazione e sulla collaborazione di due specie di fotobatteri: i cianobatteri fotosintetici con un’alta capacità di captare la luce solare e i batteri esoelettrogeni, i quali invece sono utilizzati in quanto possiedono una grande capacità di trasferire elettroni all’esterno delle cellule.
I pannelli solari con celle ad alghe hanno dimostrato un corretto funzionamento, e nella fase di sperimentazione in laboratorio è stato utilizzato l’acido lattico come vettore per trasportare l’energia da una specie di fotobatterio all’altra: i cianobatteri captano l’energia solare fissando l’anidride carbonica per sintetizzare l’acido lattico; esso poi viene ossidato rilasciando elettroni. In questo modo si viene a creare un flusso di elettroni seppur limitato dai fotoni D-lattato.
Sebbene ancora non sia possibile dire quali ulteriori benefici in termini di efficienza energetica questi pannelli solari ad alghe possano portare con sé rispetto ai classici fotovoltaici, una cosa è certa: essi potrebbero rendere ancora più semplice ed ecosostenibile lo smaltimento una volta terminato il proprio periodo di funzionamento.
Le celle biofotovoltaiche
I pannelli solari con celle ad alghe quindi si basano su un principio di collaborazione tra due specie di microrganismi; il punto principale di tutta la struttura è però la cella fotovoltaica.
Il team Accademia cinese delle scienze ha dapprima messo a punto un prototipo di cella solare biologica miniaturizzata, la quale si è rivelata capace di produrre elettricità per circa 20 giorni consecutivi comprensivi di ciclo luce/buio naturale.
Gli studi sul biofotovoltaico sono stati però ripresi anche da altri team di ricerca sparsi in tutto il tutto il mondo. Per esempio, all’Università di Cambridge un gruppo di chimici e fisici ha costruito una cella a combustibile costituita ancora una volta da materiale organico e con un’efficienza cinque volte superiore rispetto a tutti gli altri dispositivi simili studiati fino a quel momento.
Come funziona una cella a combustibile? Questa si basa su un principio che la differenzia da tutte le altre strutture simili create in passato: mentre infatti la fase di raccolta della luce e generazione degli elettroni, e quella di trasferimento dell’energia all’interno del circuito elettrico venivano eseguite nella stessa camera, nella cella a combustione esse avvengono in due ambienti separati: infatti, la seconda fase, ossia quella di trasferimento, non richiede l’intervento della luce del sole e quindi può avvenire in un ambiente non esposto.
Questo nuovo tipo di cella biofotovoltaica è molto interessante in quanto permette di aumentare l’efficienza energetica del sistema alla quale viene applicata: tra le altre cose, questa permette di accumulare energia durante il giorno per utilizzarla nelle notti o quando si verificano periodi di brutto tempo.
Inoltre, la cella a combustione consente il raggiungimento di una densità di potenza mai verificatasi in questi sistemi: si parla infatti di circa 0,5 W/ m²
Pannello biofotovoltaico per le case
La tecnologia che impiega pannelli e celle biofotovoltaiche non è ancora stata commercializzata e applicata nell’ambito domestico, dove invece già da alcuni decenni si sono diffusi i pannelli fotovoltaici classici.
Pertanto, è ancora difficile sapere quali saranno le sue applicazioni domestiche e come miglioreranno le condizioni di produzione di energia.
Tuttavia, esistono alcune applicazioni sperimentali di biofotovoltaico che sono state messe in atto da alcuni studiosi chimici e fisici: per esempio, è stato progettato un tavolo che si basa proprio su questa tecnologia, il tavolo Moss che permette di alimentare piccoli dispositivi come computer o lampade.
Questo però si trova ancora in una fase sperimentale che deve essere perfezionata per essere pienamente efficiente.
Un’altra applicazione sulla quale alcuni scienziati sono impegnati riguarda l’installazione di impianti biofotovoltaici che sarebbero sufficienti a dare energia a piccoli villaggi rurali privi di centrali elettriche autonome.
Per ora si tratta però di progetti sperimentali che potrebbero essere realizzati solo grazie alla scoperta di metodi in grado di migliorarne l’efficienza energetica.