Le tante speranze con cui due settimane fa si era aperto il COP25, la 25esima edizione della Conferenza delle Parti su Clima e Ambiente organizzata dall’ONU, hanno lasciato spazio a una certa disillusione, forse anche a un malcelato pessimismo. Di fatto sul tavolo rimangono ancora tutte le principali discussioni già aperte da anni, a cominciare da quella sul contenimento delle emissioni di CO2 da parte dei colossi industriali. Nulla è stato deciso, nessun accordo è stato preso.
Madrid fa segnare uno stallo preoccupante
E dire che il gruppo di lavoro di delegati provenienti da almeno duecento paesi aveva prorogato i lavori di altri due giorni nel tentativo di trovare in extremis quell’accordo che si cercava da tempo: ma non c’è stato niente da fare. Gli Stati Uniti rimangono sulla loro posizione difensiva e conservatrice, imitati anche da diversi paesi in via di sviluppo come Brasile, Cina, Corea del Sud e India che vogliono mantenere il loro status e non hanno alcuna intenzione di ridimensionare il proprio volume di produzione e di conseguenza di forza inquinanti.
Tante discussioni ma nessun accordo
È stato un forum teso: fuori dalla fiera di Madrid le proteste degli ambientalisti, arrivati da ogni parte del mondo e culminate con la presenza di Greta Thunberg che si è limitata far sentire la propria presenza con un foltissimo gruppo di sostenitori. All’interno dell’assemblea e nei vari gruppi di lavori moltissime discussioni che alla fine non hanno portato a nulla. Lo scopo del COP25 era quello di concretizzare l’accordo di Parigi e portarlo a una maggiore diffusione e a un livello più alto. Domenica, alla fine dei lavori, ai delegati del COP25 non è restato altro che ammettere il fallimento del forum e la posizione di stallo che non accenna a sbloccarsi.
Dopo i COP25 i problemi restano irrisolti e sul tavolo
“Abbiamo fatto qualsiasi cosa per cercare di avvicinare le parti e tradurre in una volontà comune le opinioni di tutti – dice un abbattuto Andrés Landerretche, presidente e coordinatore dei lavori del COP25 – ma non possiamo dire di aere raggiunto l’obiettivo che ci eravamo prefissi. Abbiamo prolungato i termini della discussione, siamo andati avanti anche di notte perché la maggioranza dei delegati chiedeva un testo più ambizioso e obiettivi più importanti. Non ci siamo riusciti”. I problemi di fatto restano gli stessi già analizzati al termine del forum di Katowice, che si era tenuto lo scorso anno.
Tutto rimandato a novembre, a Glasgow
Le responsabilità sono state chiaramente chiamate da parte di alcuni delegati: il ministro per l’energia del Costa Rica, Carlos Manuel Rodriguez ha chiaramente detto che Stati Uniti, Brasile e Australia si sono rivelati per nulla collaborativi e che se oggi il COP25 si chiude senza un testo condiviso la colpa è soprattutto delle loro delegazioni.
“Lo stallo e il non decidere non sono mai una buona cosa – dice Seyni Nafo, ex presidente dei negoziatori africani – ma tutto sommato non avere preso una decisione è molto meglio che aver preso la decisione sbagliata. La speranza è che il senso di responsabilità di fronte al quale siamo chiamati faccia maturare nuove consapevolezze in futuro”. Il COP25 di fatto non decide in alcun modo se anticipare la famosa quota zero delle emissioni di carbonio che i paesi più industriali hanno fissato al 2050 e che appare troppo tardiva.
Queste affermazioni arrivano un anno disastroso dal punto di vista ambientale e mai così attraversato dalle polemiche ambientaliste. Appuntamento a questo punto al SEC, lo Scottish Events Campus, di Glasgow dal 9 al 19 novembre del 2020 per il COP26, che si annuncia il più affollato e partecipato di sempre visto che si attende l’arrivo di oltre 30mila delegati. I lavori saranno organizzati da Regno Unito ed EIRE in partnership con l’Italia.