Decisione storica per la Repubblica della Namibia che ha deciso di liberalizzare il settore nazionale dell’Energia per attrarre investitori e puntare immediatamente al superamento dell’acquisizione di energia dai paesi confinanti. Una svolta storica per un paese relativamente giovane e forte di numerose risorse ma che fino a questo momento non ha mai saputo dotarsi delle infrastrutture necessarie per la creazione di energia, in modo particolare energia elettrica, in modo autonomo.
La Namibia, un paradiso terrestre ma senza energia
Appoggiata sull’Oceano Atlantico su un territorio selvaggio, bello e vastissimo che ospita appena due milioni e mezzo di persone, la Namibia è diventata indipendente dal Sud Africa solo nel 1990: un paese decisamente giovane le cui potenzialità per certi versi sono ancora tutte da scoprire. Se è vero che le risorse del sottosuolo sono estremamente ricche, è altrettanto vero che fino a questo momento la Namibia ha fatto pochissimo per rendersi autonoma anche da un punto di vista industriale oltre che politico. Quasi tutto è demandato alle risorse elettriche che il paese acquista dal Sud Africa e dallo Zimbabwe. D’altronde l’economia namibiana è sempre stata legata al doppio filo al Sud Africa e anche dopo l’indipendenza la relazione tra i due paesi è stata strettissima, anche troppo.
“Abbiamo pagato per anni una politica statica che dobbiamo per forza interrompere se vogliamo proseguire nel nostro percorso di crescita – ha dichiarato il ministro delle miniere e delle energie Tom Alweendo – per questo inizieremo da oggi una forte politica di liberalizzazione che ci consenta con l’aiuto di investitori stranieri di sfruttare le nostre risorse e di entrare a far parte del processo di sviluppo della Namibia. Guardiamo con particolare attenzione soprattutto alle energie rinnovabili”.
La Namibia si dà due anni di tempo: “Abbiamo messo in atto misure diverse e identificato progetti prioritari per assicurarci di sostenere la produzione energetica entro il 2021. Ci siamo allontanati dal monopolio in cui NamPower, di proprietà statale, era il solo acquirente di energia e oggi abbiamo consentito ad altri consumatori di acquistare direttamente l’energia elettrica dai produttori”. Lo scopo non è solo quello di acquistare e vendere energia a un saldo favorevole per la popolazione in termini di costi, ma anche di produrre di più, e in proprio, per accontentare le aziende del paese che vogliono potere crescere. La Namibia ha un territorio enorme, ma la stragrande maggioranza della popolazione affolla l’altopiano della capitale Windhoek, circa mezzo milione di persone, e le poche aree del nord dove la densità resta per altro bassissima, difficilmente oltre le 20 persone per kmq.
Dare al paese più energia elettrica significherebbe anche togliere la grande ricchezza dalle mani dei pochissimi che fino a questo momento si sono arricchiti a piene mani con lo sfruttamento dei diamanti e delle miniere d’oro, giacimenti che sono costate decine di vite umane, scandali e un gran numero di indagini mai completamente concluse e insabbiate del tutto. Oggi la Namibia guarda avanti e per farlo chiede alle industrie europee e asiatiche di investire in un paese che ha spazi giganteschi ma non ha la spinta per poterli sfruttare né da un punto di vista industriale né da un punto di vista agricolo.
La paura dei black out
È indubbio che parte della strategia del governo namibiano è anche legata alla paura dei black out che continuano a colpire la costa atlantica, l’interno e in particolare la capitale. È di due giorni fa la notizia, confermata anche da portavoce della NamPower, di un pesante blocco nella fornitura di energia a causa di un guasto alla linea della centrale di smistamento di Kokerboom-Aries. Ci sono volute quasi ventiquattro ore perché la situazione potesse tornare alla normalità che è stata ristabilita dapprima a Windhoek e poi nel resto del paese. Ma, a fronte di una sempre maggiore richiesta di energia, i black out sono sempre più frequenti in tutto il paese.