Da molti anni ormai si considera la produzione di carbone finalizzata alla creazione di energia elettrica e per il riscaldamento ormai superata. Gli studiosi consideravano che il carbone come principale combustibile avrebbe resistito fino agli anni ’60 e poi, per i successivi sessant’anni, sarebbero stati gli idrocarburi a dominare la scena. Le cose sono andate così in diversi paesi, nel Regno Unito e in Germania per esempio ma non dappertutto. Anzi… ci sono paesi dove il carbone può essere ancora considerato il modello di sviluppo per eccellenza: e uno di questi è niente meno che la gigantesca Cina.
La Cina non vuole rinunciare al carbone
I numeri delle ultime ricerche parlano chiare: il documento “Out of Step” prodotto per la rete di ricercatori indipendenti Global Energy Monitor e firmato dai ricercatori Christine Shearer, Aiqun Yu e Ted Nace svela che dall’inizio del 2018 fino al giugno scorso la produzione cinese di energia elettrica con impianti a carbone è addirittura aumentata fino a 42,9 GW. Si tratta di un paradosso abbastanza complesso se si considera che in Inghilterra da un pezzo le risorse di carbone vengono considerate superate e non più strategiche mentre in Germania, ma anche in Italia, la stragrande maggioranza degli impianti vengono smantellati mentre, quelli ancora in funzione, non fanno più parte delle nuove strategie. In Cina non è così: i vecchi impianti, anche quelli considerati inquinanti o pericolosi, lavorano e sono stati adeguati per raggiungere livelli di produzione ancora superiori.
Impianti vecchi riadattati e nuovi da ricostruire
Se misuriamo in Gigawatts la produzione globale di energia alimentata dalle vecchie centrali a carbone possiamo vedere che il fabbisogno si è quasi ridotto a un terzo in meno di nove anni, da circa 60 a 20 GW su scala mondiale: i dati, estremamente autorevoli sono proprio della Global Energy Monitor. Il problema è che se il resto del mondo sta abbattendo questi dati chiedendo a tutti i paesi di superare definitivamente l’uso del carbone, la Cina prosegue imperterrita con un modello di sviluppo che è vecchio e inquinante per il mondo ma assolutamente redditizio per Pechino. Non solo, dal 2014 il governo centrale cinese ha demandato alle varie provincie di organizzarsi autonomamente e continuare a sfruttare le centrali a carbone se non addirittura costruirne di nuove.
Il carbone in Cina è ancora abbondante ed economico: di qui, in spregio alle norme sulla tutela ambientale e della qualità dell’aria c’è stato un notevole incremento di questo genere di impianti. Quelli sospesi sono stati riaperti, quelli chiusi sono stati ammodernati e altri sono stati inaugrati: oggi la Cina ha in programma di superare i 150GW, molto più di quanto produceva l’Europa nel suo momento di maggiore sviluppo. Si tratta di un dato paradossale e del tutto in controtendenza rispetto a quelle che sono le indicazioni delle società ambietaliste.
La Cina a oggi è il più grande produttore di energia a carbone
L’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, la principale istituzione che si occupa del riscaldamento globale, ha già elaborato un piano nel quale si chiede alla Cina di superare al più presto lo sfruttamento del carbone per consentire un abbassamento della temperatura media di almeno due gradi, il che vorrebbe dire interrompere la costruzione di nuovi impianti e dismettere tutti quelli in essere non oltre il 2030.
I grandi gruppi industriali non solo non ci sentono ma vogliono intensificare il loro disegno di arrivare a 1300 GW entro il 2035 con un piano infrastrutturale che sarà presentato entro il prossimo anno. Un quadro che porterebbe a livelli di guarda l’emissione di CO2, si parla di 39 miliardi, oltre il 35% in più di quanto i climatologi avrebbero sperato.