Il COP25 di Madrid si sta avviando alla sua conclusione: è stato un evento soprattutto interlocutorio per quanto animato da molti dibattiti estremamente interessanti. Ma quello che sarà il suo valore in termini pratici forse lo si capirà tra alcune settimane. Tuttavia, l’evento organizzato dalle Nazioni Unite nell’ambito delle molteplici iniziative tese a favorire il dialogo sul fronte delle problematiche ambientali e del clima, ha ottenuto uno scopo importante: quello di dare voce a moltissime associazioni che non sono chiamate direttamente in causa sotto l’aspetto delle politiche ambientali ma che vivono in prima persona quelle che sono le problematiche legate all’ambiente. Una di queste è l’Unicef.
Il progetto ONU per Unicef
L’agenzia dell’ONU per la salvaguardia e la tutela dei bambini è entrata pesantemente nel dibattito con il suo presidente Mary Robinson, in passato presidente dell’EIRE che ha invitato i leader del mondo, letteralmente “a darsi una regolata”. Mary Robison è stata ascoltata dai delegati del COP25 mentre una folta delegazione di giovanissimi aderenti al programma ambientalista di Greta Thunberg si trovava all’esterno della fiera di Madrid dov’era in corso il dibattito. Tra di loro Theo Cullen-Mouze, un ragazzo irlandese di diciassette anni che ha raccontato la sua vita drammatica sulla costa occidentale tra sempre più frequenti tempeste, lunghi periodi di siccità estive, improvvise alluvioni. Una situazione che ha mandato sul lastrico la sua famiglia e lo ha convinto a protestare: “Sono qui per chiedere ai leader del pianeta di smettere di comportarsi come bambini e di assumere un atteggiamento più serio e consapevole. Lo devono alla nostra generazione, che non riuscirà mai a rimediare ai loro disastri e agli scienziati”.
La dichiarazione dell’Unicef sui rischi dei bambini davanti al cambio climatico
Mary Robinson ha fatto suo il messaggio del suo giovane connazionale presentando la sua “Declaration on Children, Youth and Climate Action”: “È un atto concreto con cui l’Unicef non la tutela di questa o quella parte del pianeta a seconda dei rischi che corre ma di un’intera popolazione a rischio del pianeta, la popolazione più debole in assoluto. I bambini. La drammatica situazione ambientale che stiamo vedendo provocherà gravissimi traumi sulle fasce più povere: carestie, guerre civili, migrazioni di massa. Il costo che il pianeta si appresta a pagare è il peggiore possibile e non lo possono di certo pagare i bambini…” La dichiarazione dell’Unicef è stata subito firmata da Cile, Costa Rica, Fiji, Lussembrugo, Monaco, Nigeria, Peru, Spagna e Svezia. A oggi, secondo l’Unicef, un miliardo di bambini vive in zone ad altissimo rischio per condizioni meteorologiche; non solo, tra il 2014 e il 2018 oltre 750mila bambini sono stati costretti a lasciare la loro casa nei Caraibi a causa di eventi meteorologici devastanti. Nei cinque anni precedenti erano stati 175mila.
L’accorato appello dell’Unicef a non dimenticare mai i più piccoli Mary Robinson ha tenuto un accorato intervento che ha sinceramente emozionato il pubblico: “Facciamo molto ma quello che facciamo non è comunque abbastanza – ha detto l’ex presidente dell’EIRE, il primo presidente donna nella storia della Repubblica irlandese – e da questo punto di vista non posso far altro chiedere scusa perché avremmo dovuto e voluto fare molto di più. Siamo qui per chiedere aiuto alle nazioni del pianeta perché si rendano conto che poche scelte possono costare decine di migliaia di vite umane. Qui e oggi chiedo un gesto di responsabilità che possa diventare un segnale di speranza per le generazioni future”.
L’intervento dell’Unicef parte da un presupposto significativo, nel trattato di Parigi solo il 42% dei paesi firmatari ha citato chiaramente il rischio corso dai bambini: “Il fatto che i bambini siano stati tagliati fuori dal loro stesso futuro e dagli adulti in tema di politiche ambientali è una clamorosa ingiustizia. Dovremmo tutti trovare tempo e modo di ascoltare la parola delle nuove generazioni. Oggi che abbiamo condannato i bambini al silenzio dovremmo avere paura e preoccupa