Mentre un tempo nelle civiltà agricole vigeva l’abitudine di riutilizzare i rifiuti alimentari (inclusi quelli della birra) come mangimi o concimi e il resto dei rifiuti non inquinanti venivano bruciati nelle stufe casalinghe, con l’aumento dell’industrializzazione e dei consumi e il concentrarsi della popolazione, nelle città si è insediato il “culto dell’usa e getta”.
Più si produce, più si creano rifiuti e più si inquina. Soprattutto nell’ultimo decennio il problema dello smantellamento dei rifiuti è divenuto preoccupante in tutti i Paesi industrializzati, diventando uno degli elementi di crisi e di difficile governabilità del territorio e in particolare dei grandi sistemi urbani.
Solo nell’ultimo periodo, non potendo più ignorare i danni che l’inquinamento sta arrecando all’ambiente che ci circonda e particolarmente alle nostre vite, la tendenza si sta invertendo. La lotta allo spreco si fa sempre più accesa e con essa sono nati numerosi movimenti che approfondiscono tutti i benefici del riciclaggio e del “ridare vita” a oggetti che dopo il primo utilizzo andrebbero già buttati.
A Belfast hanno preso alla lettera la teoria del “non si butta via niente”. I ricercatori della School of Chemistry della Queen’s University di Belfast hanno sviluppato un metodo per convertire gli scarti di produzione della birra in carbone attivo: milioni di tonnellate di scarti di produzione della birra prodotti in Europa verranno utilizzati per produrre carbone attivo e nanotubi di carbonio.
Dare nuova vita ai rifiuti di orzo
Cercare di dare nuova vita agli oggetti che andrebbero buttati dopo essere stati utilizzati anche una sola volta, non solo sprona la creatività di una persona, ma permette di ridurre la quantità di rifiuti che ogni giorno una famiglia produce in media.
Riducendo i rifiuti si potrà, di conseguenza, anche limitare l’impatto che essi hanno sull’ambiente. I ricercatori dell’Università di Belfast hanno voluto pensare in grande. Dopo aver studiato il problema legato alla difficoltà di smaltimento delle grandi quantità di grano delle fabbriche di birra in Europa, il team di studiosi guidato da Ahmed Osman ha ideato un metodo molto semplice e poco dispendioso per trasformare i rifiuti di orzo.
Il metodo, messo a punto a Belfast, prevede che da un 1 kg di scarti di produzione della birra sia possibile produrre abbastanza carbone attivo per coprire la superficie di circa 100 campi da calcio.
Lo studio, pubblicato nella rivista scientifica Journal of Chemical Technology and Biotechnology, si basa sulla conversione di un sottoprodotto dei birrifici in due prodotti di alto valore, quali il carbone attivo e i nanotubi di carbonio. Processo che rappresenta un ottimo esempio di economia circolare.
Processo di conversione degli scarti della birra : i dettagli
Gli scarti di produzione della birra, dopo essere stati essiccati, vengono trattati attraverso un processo chimico, nel quale vengono miscelati con acido fosforico e idrossido di potassio.
Attraverso queste due soluzioni, realizzabili sostenendo costi non elevati, permettono di ottenere un materiale molto utile per la purificazione dell’acqua; il carbone attivo, infatti, è utilissimo come antitossico e antiveleno
Inoltre dal processo di conversione è possibile creare anche particolari nanotubi di carbonio, un tipo di materiale molto resistente e con una capacità di conduzione elettrica tale da renderlo utilizzabile nel mondo dell’elettronica, soprattutto per la realizzazione di chip piccoli e veloci.
Il metodo sviluppato attraverso l’uso degli scarti di produzione della birra non solo fa bene all’ambiente, ma è allo stesso tempo favorevole all’economia del Regno Unito. Il Paese, attualmente, importa biocarbonio dagli Stati Uniti e da altre parti del mondo; grazie a questa scoperta, le spedizioni di carbone attivo dall’estero potrebbero ridursi e si incrementerebbe l’utilizzo delle risorse locali disponibili per la sua produzione, riducendo anche le emissioni.