Il 2019 si chiude con diverse aree a rischio non solo dal punto di vista climatico e ambientale ma anche produttivo: zone certamente non ricche e con poche alternative che non siano l’allevamento e la coltivazione. Il riscaldamento globale e i tornado tropicali le hanno messe duramente alla prova. A Madrid, dov’è in corso il COP25, l’assemblea delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, sono presenti numerosi operatori del settore agroalimentare che portano la propria esperienza dopo aver subito danni catastrofici che hanno portato, tra l'altro, alla nascita del cosiddetto Dry Corridor.
Il Dry Corridor, nuova emergenza di cui poco si parla
L’agricoltore José Cirilo Mendoza vive in Centramerica, El Salvador, denuncia cinque anni di quasi assoluta mancanza di piogge. Una situazione disastrosa che ha portato al crollo non solo la sua piccola fattoria, che viveva quasi esclusivamente della coltivazione di mais e banane, ma tutte le persone che come lui hanno sempre e solo coltivato la terra. Una terra che ora non è più in grado di rispondere e che loro non sono in grado di alimentare perché l’irrigazione costa troppo.
Si chiama Dry Corridor: il corridoio asciutto ed è una striscia che riguarda tutta la zona dell’America Centrale che alterna periodi di siccità drammatici al passaggio di devastanti uragani che distruggono senza portare nulla.
Le aree più a rischio sono quelle meno autonome
Il Dry Corridor da alcuni anni è oggetto dello studio e dell’aiuto del WFP, il World Food Program che sta testando nuove opportunità da portare nell’America Latina, in America Centrale e nei Caraibi agli agricoltori: “Molte regioni nelle quali stiamo intervenendo sono diventate un interessante laboratorio per le nostre ricerche – dice Kathryn Milliken, Climate Change Advisor della WFP – nei Caraibi che recentemente sono stati messi in ginocchio dall’uragano Dorian, che ha fortemente danneggiato anche Grand Bahama sono scattati programmi di assistenza locali che hanno consentito alle comunità di riprendersi in modo più rapido. Nei Caraibi la situazione che riguarda le isole più piccolo è differente, qui dobbiamo porre le basi per portare investimenti che siano in grado di offrire riparo e soluzione prima dell’intervento delle grandi organizzazioni, spesso troppo tardive”.
Un programma agroalimentare per ogni comunità a rischio
Il grande compito del WFP è quello di creare un progetto agroalimentare specifico per ogni area a rischio, tenendo conto delle grandi difficoltà climatiche e ambientale di ogni singolo paese. Si tratta di attuare una strategia di contenimento dei rischi: “Oggi basta un solo fenomeno meteorologico sfavorevole per distruggere una comunità di migliaia di persone – prosegue Kathryn Milliken - stiamo allestendo programmi di informazione e divulgativi su come organizzare in modo più agile e intelligente una produzione agricola che basti a sfamare le comunità e che sia immediatamente riconfigurabile anche dopo eventi tragici. Tutto sta a rendere queste popolazioni quanto più possibile informate, autonome e pronte per qualsiasi emergenza”.
Integrare la tradizione ancestrale con nuove tecnologie
Purtroppo le problematiche sono molte e le necessità di intervento sono differenti. In nessun caso si tratta di intervenire con logiche rivoluzionarie: “La tradizione di ogni singolo paese va rispettata e mantenuta – dicono gli analisti del WFP – ma molto spesso si tratta di intervenire integrando con strumenti più moderni senza necessariamente voler rendere un processo molto manuale del tutto tecnologico. In Ecuador e Colombia popolazioni indigene stanno combattendo con uragani, impoverimento del suolo ed erosione e hanno bisogno di assistenza per diversificare e rigenerare il loro terreno. In altre aree dove da sempre si coltiva solo cacao è necessario trovare anche altro che possa creare alternative alimentare e mantenere la delicata economia dei villaggi”. Il Dry Corridor oggi attraversa El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua e coinvolge non meno di tre milioni di persone che presto non avranno più di che sfamarsi.