Fin dal primo vagito delle auto ibride ed elettriche i progettisti si sono dovuti confrontare con alcuni problemi che andavano assolutamente risolti se si voleva che questo genere di prodotto diventasse davvero applicabile su vasta scala e non restasse un mero sfizio accademico. Il primo problema erano il peso e le dimensioni delle batterie che inizialmente occupavano talmente tanto spazio da rendere improbabile che una macchina potesse trasportare più di una sola persona. Ma si parla di quasi quarant’anni fa: vediamo le nuove frontiere dell'energy storage. .
Energy Storage e il problema di rigenerare le nuove batterie al litio
Il secondo problema era indubbiamente quello della durata delle batterie e del cosiddetto “effetto memoria”, l’incapacità delle celle di mantenere il 100% della loro potenzialità dopo ogni ricarica; ma anche su questo si è lavorato molto grazie allo sviluppo delle reazioni chimiche del litio consentendo alle batterie di nuova generazione una longevità persino superiore a quella delle macchine.
La Tesla, la prima fabbrica che ha investito in questo genere di risorsa, pochi mesi fa ha presentato batterie in grado di reggere fino a venti anni di vita: difficilmente oggi mantiene una macchina per così tanto tempo. Il terzo problema è quello più attuale e, purtroppo, di più difficile soluzione ed è lo smaltimento. Ma si tratta di un altro argomento ancora.
Batterie più leggere, longeve e potenti
Dunque oggi le batterie sono più leggere e possono durare molto di più ma possono anche dimostrarsi più efficaci mantenendo la propria potenzialità più a lungo nel tempo. Come migliorare ulteriormente le performance delle celle di alimentazione? Lavorando sulla loro rigenerazione e sulla loro capacità di immagazzinare una quantità maggiore di energia. Gli studiosi l’hanno definita energy storage capability e sicuramente diventerà una delle unità di misura con le quali misurare la capacità e la qualità delle batterie di nuovissima generazione. A questo progetto hanno lavorato la CSIRO, l’agenzia scientifica nazionale australiana e Matthew Hill, responsabile dell’unità di ricerca della prestigiosa Monash University di Melbourne.
La scoperta dei ‘cristalli magici’ che rigenerano il litio
La Monash è uno degli istituti accademici più prestigiosi del paese e nei suoi laboratori si sono vinti decine di premi nell’ambito della ricerca biologica, chimica, molecolare e farmaceutica. Il Solomon Award conquistato dallo staff di Matthew Hill è l’ultimo della serie. Hill ha presentato i dati di una ricerca durata quasi due anni sui MOF, i metal organic frameworks, sono strutture metallorganiche di minima massa che agiscono e reagiscono tra loro nelle composizioni chimiche che sono alla base delle batterie. Sono stati ribattezzati magic crystals per la loro grande capacità di aggregazione e per la straordinaria attitudine a “ospitare” altre molecole.
È come se ognuno di questi minuscoli cristalli fosse in realtà un piccolo contenitore in grado di ospitare celle d’energia da rigenerare e mantenere. Delle spugne chimiche in grado di assorbire energia, mantenerla e rilasciarla su richiesta. È un principio che vale oro per le batterie, non solo quelle delle auto ma anche per le battery pack di telefonini, computer portatili, tablet, ma anche per qualsiasi strumento sia destinato a immagazzinare e rilasciare energia: che si tratti di corrente elettrica, gas, o persino un fertilizzante.
I MOF ridurranno di cento volte gli spazi per generare il litio
Lo studio è già a buon punto ma CSIRO e Monash lo hanno portato a un altro livello lavorando proprio sui cristalli di litio che, come tutti sanno, sono il principale elemento delle batterie di nuova generazioni. Stando ai calcoli e ai prospetti preparati dallo staff della Monash le nuove vasche per la stagnazione e l’estrazione del litio sarebbero in grado di ridurre di cento volte la dimensione e i tempi di produzione. In pratica, se oggi in Cile, nel più grande impianto di produzione di litio del mondo, una vasca di 1 ettaro produce una certa quantità di cristalli, grazie ai MOF la vasca da un ettaro, 10mila metri quadrati, si ridurrebbe alle dimensioni di un appartamento.