Nel corso delle ultime settimane l’Italia ha registrato un sentito sentimento popolare di preoccupazione per il destino di alcuni dei nostri ghiacciai: lo splendido ghiacciaio di Solda, in Alta Val Venosta, considerata la Siberia delle Dolomiti ha perso gran parte del suo volume, così come quello dello Stelvio. Ma al momento la grande preoccupazione comune è soprattutto per il ghiacciaio della Marmolada, considerato come l’apparato glaciale più esteso delle Dolomiti.
La Marmolada e il riscaldamento globale
Negli ultimi dieci anni la Marmolada ha perso più volume che negli ultimi cinquanta: si parla di una riduzione del 30% della sua capacità e del 22% della sua estensione. Una riduzione davvero preoccupante che è direttamente collegata al cambiamento delle condizioni climatiche. A dispetto degli studi e delle ipotesi, a volte un po’ fantasiose, su ipotetiche e costosissime operazioni per rigenerare i ghiacciai, già oggi gli scienziati meteoclimatici dicono che non ci sono né alternative né soluzioni e che la Marmolada è destinata a scomparire nel giro di trent’anni al massimo. Forse anche meno.
Una montagna di ghiaccio che è stata scavata per anni
Il nome della Marmolada è indubbiamente uno dei più amati tra gli appassionati di sci e di sport invernali: collocato tra Trento e Belluno, il ghiacciaio alimenta il torrente Avisio e sovrasta il Lago di Fedaia. Stando alle proiezioni e alle testimonianze raccolte il ghiacciaio all’inizio del 1900 era uno dei più importanti d’Europa.
Era considerato un gigante con il quale convivere e da sfruttare: nella prima guerra mondiale decine e decine di chilometri di gallerie scavati al suo interno dai soldati durante un’estenuante guerra di trincea costituirono la cosiddetta EisStadt, la città del ghiaccio, oggi completamente perduta per via dello spostamento e della riduzione del ghiacciaio. Posizionato tra i 2700 e i 3000 metri il ghiacciaio si è vistosamente ridotto e ora gli studiosi stanno semplicemente cercando di capire quando bisognerà dichiararlo esaurito.
Processo irreversibile: impossibile pensare di salvare la Marmolada
Da tempo i ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche con gli studiosi delle Università di Genova e Trieste e quella gallese di Aberystwyth stanno effettuando misurazioni e riscontri sui lati deboli del ghiacciaio calcolando con sensori e telecamere quanto sia incisivo il suo spostamento: “Il primo rilievo - spiega Renato Colucci del Cnr Ismar - è stato acquisito usando un ‘ground penetrating radar’ (GPR) terrestre, una tecnologia non invasiva utilizzata in geofisica, basata sul segnale elettromagnetico riflesso e trasmesso dal terreno a seconda delle caratteristiche, creando sezioni dettagliate. Il secondo, invece, usando dati raccolti in volo con GPR da elicottero. In questo modo è stato possibile ricostruire due modelli 3D del ghiacciaio che hanno permesso di misurare con precisione non solo le caratteristiche interne e morfologiche, ma anche l’evoluzione recente nel corso del decennio, quantificato in termini volumetrici”.
La Marmolada può resistere al massimo altri trent’anni
Lo stato di salute della Marmolada, ovviamente, preoccupa: “Le masse rocciose che affiorano in vari punti della superficie, un tempo il ghiacciaio offriva una massa glaciale unica, assorbono i raggi del sole – prosegue Colucci – e questo finisce per concentrare dei punti di calore che sciolgono le nevi circostanti. Questo aspetto, unito al cambio di albedo, il fatto che la neve e il ghiaccio sono bianchi e dunque riflettono molta radiazione solare, mentre la roccia, più scura, ne riflette di meno sta ulteriormente minando la salute della Marmolada accelerandone la già forte e rapida fusione. È solo questione di tempo, da un minimo di dodici, quindici anni a un massimo di trenta: tutto dipende dagli scenari climatici, se la temperatura nei prossimi decenni dovesse aumentare a ritmo più accelerato, qualsiasi previsione potrebbe essere addirittura sottostimata e la scomparsa del ghiacciaio potrebbe avvenire anche più rapidamente”. Del ghiacciaio della Marmolada e dell’emergenza che rischia di mettere in crisi tutto l’ecosistema che si trova a valle si è occupato recentemente anche l’High Mountain Summit 2019 che si è tenuto il mese scorso a Ginevra.