Il parere che la grande battaglia contro il CO2 e la speranza del suo azzeramento entro il 2050 sia affidato soprattutto a industriali e architetti è abbastanza condiviso: è solo rivoluzionando il ciclo produttivo delle sostanze più inquinanti che si può sperare di ridurre considerevolmente la quantità di gas serra nell’aria. Ma il modo in cui vivremo, tra case, uffici e fabbriche, peserà enormemente nel bilancio tra aria buona e gas serra. Esperimenti come quello del bosco verticale a Milano sono diventati oggetto di studio e di simulazione in molti altri paesi. E ci sono architetti, come Pamela Conrad, che hanno fatto proprio dell’evoluzione di una nuova idea di città più a misura di uomo e d’ambiente, lo scopo della sua professione.
Gli architetti del verde, piante e alberi crescono nelle città
Pamela Conrad è un architetto che è cresciuta in una grande fattoria nel Missouri per poi trasferirsi in California e lavorare tra San Diego, Los Angeles e San Francisco. La sua specializzazione è la botanica: o meglio… la botanica applicata all’architettura. Pamela, figlia di contadini, è la prima della sua famiglia che ha avuto la possibilità di studiare e di laurearsi. Ha lavorato a Portland e Shanghai prima di essere assunta alla CMG Landscape Architecture di San Francisco dove il primo progetto che le è stato chiesto è stata la riqualificazione della splendida Treasure Island, una vecchia proprietà militare che era stata dismessa e che poteva ospitare abitazioni civili dopo essere stata per oltre un secolo off limits. Treasure Island, un ambiente che ospita un’incredibile varietà di specie vegetali e che come la vicina Alcatraz, è un paradiso per gli uccelli stanziali e migratori, più che un cantiere è diventato un laboratorio per creare qualcosa che non fosse semplicemente un quartiere residenziale.
La baia di San Francisco è un laboratorio architettonico
Treasure Island e la vicina Yerba Buena Island nel progetto di Pamela Conrad sono diventate un ambiente protetto nel quale le case quasi non si vedono: gli alberi di eucalipto che avevano invaso tutto l’habitat sono stati razionalizzati con numerose altre piante di cedro e di pino piantate dalla collina fino alla spiaggia. Un progetto fortemente ideologico quello dell’architetto che di fatto ha spiazzato il suo stesso datore di lavoro che di fronte all’idea di creare una speculazione milionaria o segnare la storia con un progetto diverso da tutti gli altri, ha scelto la seconda ipotesi, la meno remunerativa e più affascinante. L’isola al tempo stesso è diventata un motivo di studio e di presidio anche per luoghi molto amati e visitati come
Fisherman’s Wharf, Ferry Building e Oracle Park. San Francisco ha cominciato a guardare con interesse al lavoro di Pamela Conrad e le ha chiesto di dare un’occhiata ad alcuni dei problemi della città.
San Francisco pensa a tecniche ecologiche per difendersi dai rischi
“Conviviamo da sempre con la paura di un rischio sismico e degli allagamenti – dice Brad Benson, direttore della Port Authority di San Francisco – ma abbiamo anche moli vecchi di 100 anni e un meraviglioso stadio di baseball che si affaccia sulla baia e ospita ogni settimana decine di migliaia di persone. Sono tutte strutture che sono nate a ridosso del porto e che indubbiamente creano un grande impatto. Abbiamo chiesto a Pamela e alla CMG come razionalizzare tutto questo senza rinunciare ai simboli della città facendo scelte impopolari. In questo momento stiamo mappando tutte le possibili situazioni di rischio e le potenziali soluzioni. Si tratta di un approccio completamente nuovo che parte dalle esigenze della gente ma con valutazioni più attente nei confronti della città e della sua storia. Lavoreremo per ridurre il rischio di allagamenti e di innalzamento delle acque: San Francisco non può perdere la sua identità e i suoi luoghi più affascinanti”.